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al di là del bicchiere

  • 12 lug 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

C’è un nuovo punto di vista che si sta facendo strada nella letteratura enologica italiana. Il nuovo karma sarebbe quello di “andare al di là del bicchiere”.

Cosa significa? Apparentemente, e da quello che ho capito, la questione consisterebbe nell’esigenza di non considerare la piacevolezza di un vino, la sua qualità organolettica, come i fattori determinanti per definirne la qualità.

Ci sarebbero molti altri aspetti da considerare, come la compatibilità ambientale della produzione, la salubrità, persino la capacità di determinare convivialità che, secondo alcuni, sarebbe l’aspetto fondamentale e che supererebbe per importanza e anche per coerenza epistemologica, l’analisi organolettica, che determina la distinzione fra un soggetto e un oggetto, un dualismo insopportabile e “ottocentesco”.

Tutto questo per dire fra le righe che tutti coloro che provano ad approfondire gli aspetti legati all’analisi sensoriale, alla valutazione, in breve, alla critica, sono degli incorreggibili passatisti che non capiscono l’attuale flusso degli eventi. Perciò voi che fate corsi all’Ais, all’Onav, alla Fisar o alla Fis avete sbagliato tutto. Voi, e io con voi, che provate a raccontare il vino anche attraverso le sensazioni organolettiche e quegli aspetti che derivano da caratteristiche legate al territorio e ai diversi vitigni, siete proprio fuori strada.

Il tutto perché bisogna affrontare questa materia in modo nuovo, dove noi tutti ci ritroviamo uniti al vino attraverso l’effetto conviviale, oppure condividendo principi di carattere etico. Non più Buono, Pulito e Giusto, ma Buono perché Pulito e Giusto, con una diversa considerazione della categoria del Buono, che non è più legata all’aspetto organolettico. Il che significa che il Buono non è necessariamente buono, e che può essere persino cattivo purché Buono. Fate attenzione all’uso delle maiuscole e delle minuscole, ovviamente, perché altrimenti sembrerebbe un ragionamento paradossale e contraddittorio.

Con lo stesso metodo ci ritroveremmo a dover dire che non è Bello ciò che è bello, e che anche il brutto può essere Bello, cosa che personalmente mi riempie di orgoglio. Finalmente potrei essere considerato Bello anch’io, ci pensate? E via così.

Mi riviene in mente la Corazzata Potemkin di Fantozzi, che a un anno dalla scomparsa di Paolo Villaggio mi fa piacere ricordare, oppure quella deliziosa novella di Hans Christian Andersen dal titolo “Il vestito nuovo dell’imperatore”. Ve la ricordate?

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